Legge su norme per la pubblicità situazione associativa degli eletti, dei nominati o dei designati in Toscana

(il dibattito inizia con l’intervento del primo relatore, Tassinari, riguardo la proposta elaborata dalla 1° Commisione)…………….

PRESIDENTE. Colleghi, ha la parola come secondo relatore il consigliere Morelli. Ne ha facoltà.

MORELLI. Noi abbiamo presentato una pro­posta di legge su questa materia perchè, a parer nostro, il fatto che la Regione Toscana legiferi in materia di associazioni segrete costituisce un adempimento preciso e puntuale, dovuto, ai sensi della legge statale 17 del gennaio ’82, e un’oppor­tunità di contribuire alla trasparenza nell’esercizio delle funzioni e dei servizi pubblici a livello regionale.

Noi liberali da lungo tempo e dovunque, in ogni sede, abbiamo insistito sulla necessità di bo­nificare lo Stato e di proteggere le istituzioni e l’a­zione di governo, anche nei suoi complessi aspet­ti, dai possibili condizionamenti di quelli che si possono definire interessi inammissibili, e questo perché se si devia dai corretti canoni del processo di formazione delle volontà pubbliche si assumo­no delle decisioni di cui, a prescindere dall’intrin­seca maggiore o minore fondatezza, certamente non risultano chiare le reali finalità e che dunque sono decisioni che sfuggono da ogni controllo del cittadino elettore sul loro successivo maturarsi e svolgersi.

Ciò credo per tutti i democratici è cosa gravissima e lo è in particolare per noi liberali perchè fare questo, cioè non consentire al cittadi­no elettore la comprensione dei motivi per cui si formano le volontà pubbliche, significa spezzare il nesso essenziale del sistema democratico che è fondato appunto sulla rappresentanza politica e cioè significa porre le premesse per rinunciare ad un valore preziosissimo della civiltà occidentale alla quale, è ben noto, noi liberali non è che sia­mo sentimentalmente affezionati, ma di cui siamo razionalmente convinti assertori.

E allora quali sono gli interessi inammissibili? Gli interessi di singoli cittadini o di gruppi di per sè non sono a nostro giudizio inammissibili, anzi, gli interessi di cittadini o di gruppi sono l’anima di una società pluralista in cui lo Stato è al servi­zio del cittadino e non tutto vuole sovrastare e tutto ricomprendere. Gli interessi di singoli o di gruppi divengono però inammissibili quando per fini particolari del singolo o del gruppo e che pos­sono investire il campo politico ed economico, coinvolgere organizzazioni di natura religiosa e culturale oppure tendere alla creazione di struttu­re clientelari ma che comunque hanno la partico­larità di essere delittuose o incostituzionali, ci si propone di usare strumentalmente le istituzioni pubbliche e al tempo stesso di sottrarsi ad ogni controllo da parte del cittadino elettore. Ecco, queste sono le finalità e le radici del bubbone del­la segretezza che a nostro avviso occorre colpire.

La segretezza circa l’organizzazione di tali in­teressi inconfessabili è strettamente connessa con la loro natura e ne costituisce un necessario ac­cessorio strumentale, e se è come è una grande battaglia civile lo svelare questi disegni che in va­rio modo puntano a violare i principi costituzio­nali di convivenza, allora c’è chiara e giusta l’esi­genza avvertita dal legislatore di dettare norme di attuazione dell’art. 18 della Costituzione capaci appunto di tutelare la capacità di controllo del cittadino elettore sull’esercizio delle funzioni pub­bliche. Da qui la necessità anche per la nostra Regione, oserei dire in questo caso per primi, di legifer are rispettando le indicazioni e le cornici della legge 17 del 25 gennaio ’82.

Ora, questa legge 17 ha demandato al Tribu­nale il compito di sentenziare l’accertata creazio­ne di associazioni segrete. A nostro parere non spetta nè al Governo nè ad organi regionali il compito di giudicare la natura segreta o meno di un’associazione. Una simile disposizione, quella della legge 17, è costituzionalmente ineccepibile, a nostro parere, al limite dell’ovvio. Noi la ricon­fermiamo non solo perchè ci sono alcuni che, sia pure indirettamente, hanno dimostrato in questa sede di non essere molto convinti di questo, an­che se poi viceversa la proposta su questo punto della Commissione è abbastanza legittima e lega­litaria, ma lo riconfermiamo e lo richiamiamo di nuovo perché a nostro parere sono sempre pur­troppo in agguato le tentazioni di ricorrere al si­stema medievale dei giudizi di Dio abbandonando le conquiste del diritto moderno imperniate sul principio di legalità e del giudice naturale, e a nostro parere se si getta alle ortiche questi princi­pi si fa, si voglia o meno, consapevoli o no, un passo decesivo verso un imbarbarimento di cui anche di recente negli ultimi anni abbiamo avuto tragici esempi nel vicino Iran.

Quello che invece spetta a nostro parere alla Regione, proprio nella sua qualità di organo di articolazione dell’ordinamento dello Stato, è di porre in essere tutti gli strumenti giuridici e politi­ci disponibili per evitare interferenze nell’esercizio delle funzioni pubbliche riconducibili alle compe­tenze regionali.

La legge in materia di associazioni segrete che noi abbiamo proposto, vuole appunto essere lo strumento giuridico idoneo ad affrontare questo compito nell’intera sfera di influenza della Regio­ne, da quelle che sono le strutture interne regio­nali, a quelle degli organismi di interesse regiona­le, agli enti delegati nell’esercizio delle funzioni lo­ro delegate, fino alle società cooperative e asso­ciazioni che hanno rapporto con il complesso del­le attività facenti capo alla Regione.

Per quanto concerne i dipendenti di enti e so­cietà rientranti a vario titolo in un quadro di inte­ressi regionali, la legge proposta da noi affida al­cune linee direttrici che si possono riassumere nella facoltà prevista dalla legge nazionale di so­spendere il dipendente sulla base del fondato so­spetto di appartenenza a società segreta con l’ob­bligo di trasmettere i dati all’autorità giudiziaria, con le norme previste dall’art. 4 della legge 17. Noi nella nostra legge, sia pure seguendo le indi­cazioni dell’art. 4 della legge 17, abbiamo ritenuto più coerente a questo disegno di applicazione dell’ultimo comma dello stesso articolo prevedere che quest’azione disciplinare venga attribuita per il giudizio ad una commissione di 7 membri rical­cata nella logica della commissione nazionale ma distinta da essa.  (Interruzione dall’aula)  La nostra proposta stabilisce inoltre che i com­ponenti di organi di amministrazione e di control­lo di tutta una serie di enti, titolari di deleghe re­gionali, concessionari di servizi in forza di prov­vedimenti regionali, società di interesse regionale, devono essere revocati se nei cinque anni prece­denti hanno riportato condanna per reato di ap­partenenza ad associazionie segreta.

Infine la legge proposta detta norme che, nel rispetto dei principi costituzionali e delle leggi del­lo Stato, tendano ad impedire che l’intero com­plesso delle attività, facenti capo alla Regione, possa essere inquinato dalla presenza di operatori condannati per il reato di appartenenza ad asso­ciazione segreta. Infatti la nostra proposta di leg­ge prevede che d’ora in poi, le società, le coope­rative, le associazioni, possano intrattenere rap­porti a vario titolo con la Regione, gli Enti dele­gati nell’esercizio delle funzioni delegate, gli enti e aziende di interesse regionale, con società conces­sionarie di pubblici servizi regionali, solo non avendo persone condannate nei cinque anni pre­cedenti ai sensi dell’art. 2 della legge 17 tra i loro rappresentanti legali, i loro amministratori e in al­cuni casi definiti dalla proposta tra i loro soci.

Quando la Regione e gli altri enti interessati ac­certassero che sono in corso rapporti con società, cooperative o altro che non sono più in posses­so delle caratteristiche stabilite la Regione e gli altri enti sono obbligati ad intimare a tali società di provvedere entro 60 giorni ad escludere la per­sona condannata dagli organi di rappresentanza o di amministrazione ed in alcuni casi da esclu­derla da socio. Se nei termini non viene provvedu­to ad adempiere all’intimazione allora vi è da irrogare tutta una serie di sanzioni che consisto­no dalla revoca di ogni rapporto in essere tra l’amministrazione pubblica e l’inadempiente, alla risoluzione di contratti, alla determinazione di sanzioni pecuniarie a partire da 10  milioni e con dei minimi percentuali sul valore degli appalti o dei servizi forniti, sono specificatamente previste delle aggravanti in caso di dichiarazioni fraudolente.

La nostra proposta in un certo senso si ferma­va qua, perchè comprendeva un’ampia gamma di provvedimenti che, sotto il profilo giuridico, costi­tuiscono un significativo contributo della Regione Toscana all’impegno civile di contrastare quei di­segni delittuosi o incostituzionali che per loro na­tura sono costretti – questo è un punto fonda­mentale a nostro parere – alla segretezza, ma non comprendono altri tipi di provvedimenti pro­spettati da ambienti originariamente e a nostro parere più integralisti e da settori della sinistra, e ciò gli obblighi di cui poi agli artt. 11  e 12 della proposta licenziata in Commissione.

Su questa prima parte, cioè prima dell’altra parte non compresa direttamente dalla nostra leg­ge, mi sia consentito di fare alcune rapide nota­zioni nel merito della legge licenziata dalla I Commissione, per osservare nelle questioni più sostanziali alcune cose, in ordine di articoli. Cioè, all’art. 5, II comma, c’è una profonda ambiguità che ha trovato, io credo, clamorosamente riscon­tro nella relazione del Presidente della Commis­sione quando il Presidente della Commissione ha detto pochi attimi fa che è consentita alla Giunta, agli organi regionali, l’azione per «fondato sospetto­» anche relativamente all’esistenza di un’asso­iazione segreta quando, richiamando il II commma dell’art. 5, la magistratura abbia esercitato “azione penale”. Ecco. questa interpretazione che vien data di questo articolo, essendo stata fatta non a braccio bensì da relazione scritta, dimostra che ci siano ancora profonde ambiguità, perchè l’articolo per la verità dice un’altra cosa, che da un pnto di vista tecnico non è perfettamente giu­sto,_ perchè l’art. 5 non riguarda casi generici, riguarda i casi di fatti commessi da dipendenti in contravvenzione ai doveri del proprio ufficio … (Interruzione in aula) …No, questo è il testo della legge varata in 1°  Commissione illustrata nelle dichiarazioni fatte dal relatore in Aula per scritto e quindi credo che non siano un lapsus, ma certamente sono una in­terpretazione.

Siccome si può condividere o no questa legge, ma certamente quello che è il testo resta per il valore che ha, allora le obiezioni no­stre son di un altro tipo, ma su questo punto non aspettavo di doverle fare perchè credevo che già il testo esistente, varato, le superasse. E allora, si diceva, mi sembra che l’art. 5 non consenta co­munque il procedimento in caso di non ancora definita segretezza di un’associazione da parte della magistratura che è il lato positivo che prima dicevo essere recepito nelle linee generali dalla Commissione. L’art. 5 tratta di un caso particola­re, che è – lo stavo -reggendo – del caso in cui si parta da fatti commessi da dipendenti in contrav­venzione ai doveri del proprio ufficio e che suc­cessivamente facciano sorgere il fondato sospetto che siano in connessione con un’azione di interfe­renza. Quindi, per essere chiari, questo articolo esercita quanto si va poi a dire al II comma, che cioè il caso dell’esercizio penale da parte dell’au­torità giudiziaria informata dalla Giunta solo in una particolarissima fattispecie, che non è generi­ca, non è discrezionale, è intanto che deve essere avvenuto qualcosa di fatto in contravvenzione ai doveri del proprio ufficio, che poi possano essere posti in correlazione, in connessione con un’azio­ne di interferenza, e questo quindi non mi sembra possa assolutamente consentire a dire che la leg­ge che andiamo varando dà delle facoltà di inter­venire in modo così indiscriminato su questo pun­to che per noi è fondamentale.

Premesso quindi che il I comma in questa ver­sione lo possiamo condividere e del resto è nello spirito della legge nazionale perchè chiaramente se avvengono dei fatti in contravvenzione e c’è un sospetto di connessione con un’azione di interfe­renza, è doveroso che la Giunta faccia tutte le se­gnalazioni degli atti alla magistratura, passiamo ora al II comma. Noi faremmo una seconda obiezione: il II comma non è assolutamente quel­lo che diceva ora il Presidente. Secondo noi l’o­biezione è che questo II comma, limitato a questa fattispecie come è limitato dal I comma, contra­sta se non vado errato, con l’art. 117 della legge generale dello Stato che vieta, nel caso di eserci­zio di azione penale, la possibilità di dar corso al procedimento disciplinare fino alla conclusione del giudizio penale. Quindi noi nel II comma pos­siamo capire che, nel caso l’autorità giudiziaria eserciti un’azione penale, la Regione, se vogliamo dare un senso e un segnale che riteniamo questi atti di interferenza nell’esercizio di pubbliche fun­zioni gravi, debba intervenire in modo particola­re, però deve intervenire in modo particolare ri­spetto alle leggi.

Allora la strada corretta che potremmo vedere è quella di rendere obbligatoria quella sospensione che l’articolo della legge regio­nale già prevede come facoltativa nel caso deìl’a­pertura di procedimento penale a carico di un di­pendente, perché ritenendola cosa particolarissi­ma di gravità potrebbe essere questa la strada corretta, non quella del comma II dell’art. 5, ad­dirittura poi nell’interpretazione data testè dal Presidente della Commissione.

E poi l’art. 8 sempre di questa prima parte. L’art. 8 tratta delle persone di cui è accertata, con sentenza irrevocabile, l’appartenenza ad as­sociazione segreta, e dice che non possono essere nominate o designate dalla Regione negli organi, enti, aziende, comitati o commissioni interne o esterne. Come ho detto prima nella relazione noi sul piano di principio siamo d’accordo che ci sia questa limitazione. Però vi invitiamo, e a quanto abbiamo visto anche in Commissione c’è stato chi ha sollevato questo problema, a voler tener presente che questo disporre per legge che un condannato non possa più per l’eternità, non per valutazioni discrezionali di volta in volta dell’or­gano che nomina ma per disposizione di legge, non possa più per l’eternità esser nominato a que­ste cariche, a noi sembra che contrasti non soia e non tanto con l’art. 2 della legge 17 che pone un limite di cinque anni, ma quello che è più grave col principio profondo di tutta la legislazione mo­derna, degli stati liberaldemocratici, che punta al­la pena come recupero del condannato.

Quindi è chiaro che la Regione, là dove dovesse nominare una persona già condannata da più di cinque an­ni, dovrebbe pensarci sei o sette volte perchè chiaramente deve esser valutato, ma un conto è l’esercizio cauto e oculato di una facoltà di desi­gnazione e un conto è disporre noi per legge la dizione che chi ha sbagliato una volta non potrà più nella vita ricorreggersi e riprendersi. Questo mi sembra che è un principio veramente al quale tutti qui dovremmo essere profondamente legati e affezionati.

Quanto all’art. 9, il caso è un po’ diverso, nel senso che non è che ne contestiamo la logica completamente e l’impianto. Il nostro art. 9 rite­niamo che sia molto più preciso, puntuale e pre­gnante, perchè nel testo della Commissione, so­prattutto all’ultimo comma, a noi sembra che si usi tutta una serie di terminologie che al solito so­no imprecise e che possono aprire all’arbitrio, non solo parlando solo limitatamente di parteci­pazione diretta o indiretta agli utili mentre il con­cetto è tutto diverso per quanto attiene alla pro­prietà azionaria o alla proprietà di quote, non so­lo agli utili ma anche alle perdite, e quindi già questa è una frase non molto chiara. Ma poi c’è tutta una sorta di confusione fra società di capi­tale e di persona, che culminano poi nel caso di società di capitali, negli ultimi righi dell’articolo, che parlano molto genericamente di persone che determinino abitualmente, scelte o indirizzi nelle società ecc … Chi sono le persone che determina­no abitualmente in qualità di soci dipendenti o in altro modo scelte o indirizzi? Qui veramente pos­sono essere tutti o nessuno, ed ecco perchè noi preferiamo il nostro testo dell’art. 9 nella logica sia pure complessiva uguale a quella della Com­missione, ma ci sembra oggettivamente formulato con maggior puntualità e quindi anche in grado di evitare pericoli interpretativi che sono sempre possibili, soprattutto in materie così delicate co­me è questa che stiamo esaminando.

E questo per la prima parte, cioè per la parte della legge che, a prescindere dalle notazioni che ho fatto sull’art. 5, sull’art. 8 e un po’ sull’art. 9, però rappresentano una parte di una legge sulla quale poter positivamente attestarsi, con queste modifiche. L’art. 8 non è secondario, ma insomma la legge proposta dalla Commissione, potrebbe essere senz’altro oggetto di attenzione. E perché? Perché è stato accettato il punto fondamentale che solo la magistratura può giudicare della se­gretezza o meno dell’associazione e questo non solo in ossequio della legge statale ma soprattutto in rispetto dei principi di garanzia costituzionali, per cui la funzione del magistrato. a giudicare, deve essere separata nettamente dalla funzione di chi giudica, e quindi noi non crediamo in questo senso che fosse bene seguire la strada di chi inve­ce proponeva che per scorciare i tempi dell’azio­ne della lotta alle associazioni segrete fosse neces­sario procedere all’accertamento da parte regio­nale. Noi riteniamo che la lotta delle associazioni segrete deve essere un impegno politico e di tutti, ma deve essere combattuta con la ragione e con il diritto, rispettando gli istituti di garanzia e tra­sparenza, e quindi essendo stato accolto nella Commissione sostanzialmente l’impianto di quel­lo che era la nostra proposta di legge per questa parte, su questa parte troviamo una sufficiente convergenza, a parte le notazioni che ho fatto.

Poi c’è l’altra parte, la parte che non è compresa nella nostra legge originaria. Sulla quale abbiamo avuto però occasione in più sedi di pronunciarci, in questo Consiglio e altro­ve, e che riguarda essenzialmente l’obbligo di di­chiarare, da parte di chi ricopre cariche elettive o di nomina pubblica in senso Iato, le appartenenze a tutte le associazioni di qualsiasi natura preci­sandone la denominazione. Ecco, su questo noi siamo sufficientemente e credo a nostro parere giustamente precisi, perchè a nostro parere la no­stra normativa non avrebbe neppure potuto com­prendere quest’obbligo per vari motivi. Primo perchè un’attenta considerazione, a nostro parere, porta a concludere, come sostanzialmente è stato confermato in un parere scritto da parte dell’Uffi­cio legislativo agli atti della Commissione, che questa normativa verrebbe a esulare dalle compe­tenze regionali, perché è chiaro che quanto meno l’art.11 che attiene ai consiglieri, verrebbe a inci­dere con evidenza sullo status degli stessi e quindi incorrerebbe nelle riserve di competenza da parte dello Stato. Al limite potrebbe essere una norma da introdursi con legge dello Stato, cioè ci sarebbe quest’obbligo di dichiarare l’appartenza a qualunque associazione precisando la denomina­zione. Però a nostro parere, il punto vero e più importante non è neppure questo, che è già im­portante della incompetenza della Regione, della quale abbiamo a lungo discusso e discettato e a proposito della quale c’è anche il conforto del­l’Ufficio legislativo.

Il punto vero politicamente e culturalmente, a nostro parere più stimolante e importante, è un’attenta valutazione del dettato costituzionale e della legge 17 ai fini di capire se c’è la possibilità di introdurre questo obbligo an­che in un contesto più generale, perchè a nostro parere l’art. 18 della Costituzione prevede essen­zialmente solo due casi: il diritto di associarsi li­beramente senza autorizzazione e il divieto di as­sociazoini segrete. Ora, la legge 17 riserva al giu­dice l’accertamento della segretezza di un’asso­ciazione, e allora per noi fintanto che qualsiasi associazione, a cominciare da quella che ha dato spunto, P2 e conseguentemente massoneria, ha dato spunto a questo dibattito che è pur significa­tivo e importante perchè, senza dubbio, è un fatto negativo che l’art. l r! sia rimasto per tantissimi anni, addirittura per decenni, inattuato, nel con­fermare il senso che la Costituzione vuoi vietare attraverso la segretezza, come dicevo all’inizio, e l’uso delle armi, vuoI vietata la possibilità di di­storcere il corretto funzionamento, il dispiegarsi e il formarsi delle decisioni democratiche, dico, al­lora fintanto che queste associazioni di vario ge­nere, che sono associazioni riservate, massoneria in particolare, non siano, a norma dell’art. 18, I comma della Costituzione, dichiarate segrete dal giudice e conseguentemente disciolte, sono per­tanto, a nostro parere, legittime e non soggette ad autorizzazione.

Ma allora può essere concepito obbligare qual­che cittadino a dichiarare l’appartenenza ad un’associazione non soggetta ad autorizzazioni senza incorrere in sostanziali violazioni dei prin­cipi costituzionali? Questa è una domanda fonda­mentale alla quale noi veramente non riusciamo a rispondere nel senso di dire che sia possibile fare quest’obbligo senza incorrere in queste violazioni. Perché se questo diritto esiste come esiste quello di associarsi liberamente senza autorizzazione, obbligare una categoria di cittadini, i titolari di cariche pubbliche, a dichiarare se e come si siano associati, significa chiaramente introdurre un pe­sante condizionamento sul privato di questi citta­dini per attività penalmente non perseguibili. Que­sto è un condizionamento in una duplice forma: è una forma individuale nel senso che per il cittadi­no di quella categoria non c’è più il diritto alla ri­servatezza privata, ma è anche una forma di con­dizionamento sotto il profilo collettivo, perchè il privato di cittadini titolari di cariche pubbliche, diviene una componente del giudizio politico su di loro.

Queste due cose contrastano profondissi­mamente con tutta la tradizione di maturazione del costume politico fondamentale delle civiltà oc­cidentali. In sostanza questa civiltà vede nel mantenimento del diritto al privato un interes­se pubblico, che vede essere sì limitato e trovare un equilibrio giusto con il diritto all’informazione del pubblico perché altrimenti verrebbe meno il complesso dei due rapporti. E’ chiaro che que­sto interesse all’informazione del pubblico non deve, per quanto attiene le valutazioni politiche, coinvolgere in problemi politici stretti o elettorali tutta una serie di questioni tipicamente del priva­to, delle quali principali sono la religione, il sesso e le scelte private di vita, che, appunto, dopo aver superato la stagione buia delle guerre di religione, è stato chiarito dover essere mantenute estranee alla libera convivenza civile basata sul rispetto re­ciproco delle convinzioni intime che non portano a ledere la liberta altrui.

E allora a nostro parere, più che facilitare la lotta a quelli che sono i fini dell’associazione se­greta e cioè l’interferire sull’esercizio delle funzio­ni pubbliche, imporre, perchè di questo si tratta, imporre un obbligo della dichiarazione di appar­tenenza rompe l’equilibrio tra i diversi principi costituzionali garantiti per rispondere ad una pre­cisa convinzione e cioè che il disegno delittuoso ed incostituzionale consista non nelle specifiche finalità dell’associazione bensì nel conservare la riservatezza circa la sfera privata, e questo è pos­sibile ma è un’altra cosa, è un diverso assetto co­stituzionale, ed è tanto meno sostenibile che la ri­servatezza voglia dire immunità perchè già ora chi viola la legge può giustamente veder violato il suo diritto al privato.

Noi pensiamo che volere, per principio, cono­scere motivi e ragioni private per farne oggetto di una più ampia valutazione politica, equivale a ne­gare spazi al privato che invece devono esistere a garanzia del massimo dispiegarsi delle potenzia­lità umane e civili di ciascuno, perchè pensiamo che così si tende a cercar di far sì che tutto sia pubblico, mentre invece noi non vogliamo che tutto sia pubblico perchè la democrazia è anche la miglior forma di organizzazione dei cittadini in quanto privati, e quindi per noi non c’è contrasto, come si è detto in Commissione o fuori, circa l’interesse pubblico e la sfera della riservatezza, perché insistiamo nel dire che l’interesse pubblico è che esista anche il diritto al privato.

E allora, se noi inseriamo come si fa con l’art. 11 e con l’art. 12, una normativa che reintroduce – ecco perché parlavo che al di là dei problemi di competenza della Regione per noi è più stimolante e importante questo aspetto costituzionale ge­nerale – che reintroduce dei condizionamenti evi­dentissimi al tipo di svolgimento di giudizio politi­co sui consiglieri regionali, perché qui si parla di tutte le associazioni, e anche introduce un discor­so di questo genere sui titolari di nomine e desi­gnazioni regionali, ecco, noi riteniamo che si va­da al di là di quelle che sono le competenze costi­tuzionali.

Una notazione per registrarla agli atti perché di questo si è a lungo parlato in Commissione. Si dice: ma una cosa del genere, cioè un obbligo del genere, si è posto, e la Regione Toscana è stata tra le prime, tant’è che su questo argomento pen­de tuttora, presso la Corte Costituzionale un no­stro ricorso come Regione, è stata tra le prime ad introdurre l’obbligo per i Consiglieri regionali di dichiarare la loro condizione patrimoniale. Ora, non per essere, come dire, civettuoli, ma vorrei ri­cordare ai colleghi che su questo punto non sia­mo primi ma certamente non ultimi a nessuno perché la prima proposta dei liberali per imporre questo obbligo a livello dei pubblici parlamentari o altro risale, per così dire, all’anno ’66, cioè a 17 anni fa, quindi su questo non é che facciamo que­sta distinzione oggi per l’occasione, ne siamo strutturalmente convinti, Allora quella proposta fu svillaneggiata in vario modo da larghissima parte dell’arco politico nazionale, però andò di fatto, poi negli anni le cose sono fortunatamente migliorate, ma insomma questo fu uno dei grossi cardini della nostra posizione fin da allora.

Si dice: ma allora perché voi volete sostenere l’obbligo per il caso patrimoniale e non volete so­stenere l’obbligo per i consiglieri, deputati, sena­tori e … nel caso del diritto al privato? Dico, su questo in Commissione se n’è ragionato a lungo, quindi coloro che hanno presenziato a quelle se­dute magari già sanno la nostra obiezione, che è di fondo, ma deve restare agli atti perché la que­stione secondo me è importantissima. Perché noi riteniamo che la Costituzione tuteli in modo di­versificato il diritto al privato sul patrimonio dal diritto al privato su questioni tipo religione, sesso, scelte di vita generali. Per un ovvio motivo: perché tutti gli Stati moderni sono basati sul con­cetto che lo Stato deve esigere delle imposte, e la grande differenza rispetto .agli Stati precedenti in cui c’era una sorta di diritto delle taglie, dei bal­zelli, il concetto di imposta è connaturato al con­cetto del cittadino che deve contribuire in uno Stato che è suo, di cui è parte integrante, e quindi la Costituzione non tutela in via assoluta la riser­vatezza ai redditi patrimoniali, ma la tutela solo fra i cittadini, perché non c’é riservatezza patri­moniale tra il cittadino e lo Stato, perché il citta­dino deve dichiarare allo Stato tutta la sua consi­stenza patrimoniale.

Per cui la normativa propo­sta nel caso dei deputati e senatori dai liberali di 17 anni fa e poi dalla Regione negli anni seguenti e poi divenuta legge dello Stato recentemente, di imporre ai pubblici amministratori la dichiarazio­ne patrimoniale, non cozza contro i principi co­stituzionali perché tende esclusivamente ad allar­gare quella conoscenza dei redditi patrimoniali che è già dello Stato, patrimoniali economici, nei confronti del cittadino, per una certa categoria di cittadini, cioè quella degli amministratori pubbli­ci, tende ad allargarla anche agli altri cittadini, quindi non rompe l’equilibrio costituzionale relati­vo alla riservatezza dei diritti patrimoniali. Quindi la situazione è molto diversa rispetto invece alla tutela costituzionale della riservatezza di quello che noi si chiama religione, sesso, cioè il privato reale, e quindi noi riteniamo che inserire una normativa del genere sia profondamente sba­gliata e non rispondente a criteri generalissimi.

Ma diamo anche un altro giudizio politico, cioè noi vogliamo esprimere la preoccupazione che oltretutto l’andare a impantarsi in questa te­matica su cui i dubbi di incompetenza e incostitu­zionalità negli altri presenti alla Commissione, certamente possono essere superati a maggioranza, ma hanno un fondamento tutt’altro che privo di rilievo, e che quindi stante anche l’insuccesso avuto nell’iter della precedente legge, quella sul patrimonio, non è insensato pensare che sarà og­getto di rinvio da parte governativa. Non vorrem­mo che ci si venisse a trovare in una strana situa­zione tipicamente «italiana» nel senso deteriore del termine. E cioè in una situazione in cui tutti diranno di aver fatto la loro battaglia, di aver so­stenuto le tesi migliori e più avanzate e poi si na­scondono dietro uno usbergo per il fatto che la legge non c’è perché magari il Governo l’ha rin­viata. Questo è un altro problema reale perché vi­ceversa noi riteniamo, e l’abbiamo detto, anche qui non pensiamo di essere né primi nè secondi ad alcuno, pensiamo come tutti, che queste moda­lità di lotta alle associazioni segrete nel rispetto delle norme costituzionali vadano fatte, ma fatte seriamente e praticate, sempre in rispetto ai prin­cipi costituzionali. Cioè non si deve, con la scusa di combattere le associazioni segrete ricorrere ai tribunali speciali perché noi siamo contrarissimi, però vogliamo combattere le associazioni segrete e allora pensiamo che una certa normativa possa essere utile e anche che sia opportuno fare una normativa che abbia il completo rispetto degli as­setti costituzionali, non solo dei problemi delle competenze, in modo tale da poter divenire pre­sto legge della nostra Regione in applicazione della legge 17 del gennaio dell’anno passato.

Noi non sappiamo valutare, perché appunto come ho detto sappiamo benissimo che, insieme a questi principi, ci sono i principi, che ho citato più volte nel mio intervento, anche di pubblicità. Noi sappiamo che potrebbero anche esserci vie in cui si potrebbe arrivare ad una forma di dichiarazio­ne d’onore e di principio degli interessati che ten­dano a dichiarare la loro appartenenza solo alle associazioni che loro giudicano nella loro respon­sabilità essere attinenti politicamente ed economi­camente all’esercizio delle loro funzioni pubbli­che. Possono esserci questi ed altri sistemi, perché se la volontà è quella di equilibrare il principio della riservatezza e il diritto al privato con il prin­cipio della pubblicità senza rompere il disegno costituzionale, allora strade percorribili, se si vuo­le, esistono, purché si vogliano percorrere. Cioè purché si voglia fare non una legge di bandiera, una legge da andare ad agitare, come ha detto il Presidente della Commissione, in una specie, di caccia alle streghe», che al di là di quello che si dice può sempre esistere.

Allora se si vuoi fare una legge senza poter incorrere in questi pericoli, le possibilità per riuscire ad equilibrare i principi esistono, ma certamente non possono essere rap­presentate, come viceversa sosteneva il Presidente della Commissione, da un articolo che obbliga a depositare una dichiarazione illustrativa della propria appartenenza ad associazioni di qualsiasi natura precisandone la denominazione, perché questo è un obbligo che apre la possibilità ad in­terpretazioni di questa legge che sono aberranti. Quando si fanno le leggi non si deve pensare solo a fare un regolamento che vale solo per i prossi­mi sei mesi, si deve pensare a fare delle cose che al limite sopravvivono a noi e che quindi possono essere usate anche in altri contesti, con altri rap­porti, con altre situazioni, e creare leggi di questo genere vuoI dire dare potenzialmente delle armi pericolosissime a chi -voglia interpretare questa legge al di là delle intenzioni della maggioranza che la propone. Noi non diciamo e non ci azzar­diamo a dire che nessuno di coloro che propone questo testo voglia oggi ripercorrere la strada del­le guerre di religione, della sessofobia, dell’inter­vento diretto nel privato. Non diciamo questo perché non ne abbiamo motivi, nessuno l’ha di­chiarato. Quindi perché lo dobbiamo pensare?

Però, siccome come tutti, sappiamo leggere e scrivere, diciamo che se passa questa legge, chi avesse eventualmente la volontà di fare questi in­terventi ne avrà la possibilità, perché potranno cominciare ad essere messe in moto delle situa­zioni di discriminazione, degli interventi di valuta­zione politica elettorale sul fatto se uno è cattoli­co, ebreo, mussulmano o di Geova, oppure se uno è maschio, femmina o intermedio, oppure sui gusti particolari, e questo è profondamente ingiu­sto e soprattutto è contrario, come ho detto, ai principi generali del nostro ordinamento.

Quindi noi non vogliamo, coerenti con la con­vinzione che ci vede sempre disponibili a discute­re, a trattare e a confrontarci, non vogliamo par­lare come se la discussione in quest’Aula fosse un rito vuoto di sostanza, per cui ognuno dice la sua, dopo di che si vota a maggioranza in un rnodo o nell’altro e poi ci si affida al nostro buon coordinatore che trasmette al Governo, il quale poi rinvierà questa legge, magari alcuni sperano bocciata, e così non se ne parla più e ognuno ha fatto la sua parte. Noi, viceversa, abbiamo la fon­data speranza che questi discorsi non siano ritua­li, che questo confronto sia sostanziale e che quindi anche su questi ultimi punti, sugli artt. 11 e 12, possano essere trovate delle forme che, se si vuole, al di là delle propensioni politiche, noi ab­biamo fatto una legge in cui questo 11 e 12 non c’erano, ma ci rendiamo conto che c’è anche l’al­tro problema e quindi al limite ci rendiamo conto che può essere necessario trovare un equilibrio fra il principio della riservatezza del privato e il principio della informazione, ma deve essere sem­pre un equilibrio nei canoni, nell’arco generale del dettato costituzionale.

Ci auguriamo che questo equilibrio, questa nuova formulazione, questa non abrogazione ma equilibrata formulazione, possa essere trovata anche in questa sede, anzi, oserei dire che se così avvenisse sarebbe ancor più si­gnificativo perché vorrebbe dire che queste cose non sono state fatte con pattuizioni segrete e ri­servate in ambulacri che sicuramente sono state della P2 e sicuramente non sono nostre, ma sono avvenute alla luce del sole, sulla base di un con­fronto politico corretto, doveroso e naturale fra le forze democratiche, portatrice ognuna di visioni particolari ma non isolate ed esclusive, particola­ri, che devono integrarsi nella comune visione della democrazia come organizzazione che dà la massima possibilità a tutti di esprimersi.

Voglio concludere dicendo che il nostro giudi­zio è chiaramente discordante su questi artt. 11 e 12, ma non intendiamo chiudere il nostro apporto al dibattito alle ore 19,55 di oggi, vogliamo augu­rarci che il prosieguo degli interventi e i successi­vi confronti che si sostanzieranno in questi inter­venti possano introdurre anche elementi che pos­sano portare a vedere una soluzione più equili­brata dell’ultimo titolo, del II titolo della legge li­cenziata dalla I Commissione.

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