Esser liberali in politica oggi

Per i liberali è inscindibile il nesso tra il comportarsi in politica e l’attenzione al continuo ripensare della cultura critica. Perciò il programma liberale, per avere concretezza, non può modellarsi sulla politica politicante. Il suo terreno naturale sono le idee, i confronto con la realtà multiforme e l’impegno costante per mantenere aperto il circuito sociale di ciascun cittadino.
Oggi in Italia si ragiona poco o nulla i politica; e si fa finta di credere che siano politica il cicaleccio del circo mediatico e il conformismo senza anima civile. I professori e le personalità che qui ci fanno l’onore di portare la propria scienza ed esperienza, rappresentano quella parte del Paese che non vive di politica ma sa che, senza la politica delle idee e delle cose, la convivenza diventa più difficile e la qualità della vita peggiora. Il contributo che pensiamo di costruire oggi vuole essere perciò quello delle concrete scelte politiche da compiere per liberalizzare il sistema Italia. Per gettare alle ortiche le chiacchiere inconsistenti, l’abitudine a reprimere il senso critico, la teoria oscurantista del dover stare, prima di tutto, “o di qua o di là”.
Da liberali siamo convinti che sia necessario un cambiamento profondo di mentalità nel definire le politiche pubbliche. E che la strada giusta per realizzarlo non sia quella di suscitare speranze e di ammannire promesse bensì quella di individuare programmi di azione politica da offrire alla consapevole responsabile scelta dei cittadini. Questa è del resto la funzione reale (e liberale) del maggioritario. Mettere in mano ai cittadini le scelte decisive sulle grandi questioni politiche e sulla classe dirigente designata per realizzarle. Invece in Italia è passata una visione miope e contraddittoria per cui il maggioritario in ambito Nazionale servirebbe a ridurre i partiti. Ridurre i partiti è un oggettivo restringimento della libertà. Non a caso è l’aspirazione ricorrente in tutti coloro che, consapevoli o meno, rifuggono la diversità e vorrebbero una società di ”gruppi chiesa” l’un l’altro contrapposti per motivi di colore e di appartenenza come allo stadio. Per loro l’unico fine è battere l’avversario, non governare. Viceversa per i liberali il fine è governare. E farlo sulla base del confronto civile, che è tanto più ricco quanto sono più ampie le proposte di partenza e tanto più efficace quanto il sistema della scelta (quella maggioritaria, appunto) permette di aggregare progressivamente piattaforme programmatiche alternative e dunque di consentire ai cittadini un voto a ragion veduta.
Per questo intendiamo mettere a fuoco il punto di vista della cultura liberale su quelli che, insieme alle questioni della Costituzione europea, dell’assestamento istituzionale e del sistema elettorale, sono gli snodi essenziali delle politiche pubbliche liberali oggi in Italia. La formazione, la ricerca, e la conoscenza, che servono a costituire il capitale umano; la giustizia civile, la giustizia penale, l’etica pubblica, che servono a dare la certezza del diritto; la fiscalità, le strategie energetiche, le infrastrutture informative, che sono i gangli della nuova economia. Intendiamo presentare il contributo alternativo di un progetto politico coerentemente liberale che, attraverso regole adeguate, consenta al cittadino di esprimersi al meglio e alla comunità di sviluppare gli scambi interculturali. Il che costituisce la vera garanzia di una migliore qualità della vita e dello sviluppo sostenibile.
Naturalmente, nella logica maggioritaria non intendiamo sottrarci ad una scelta di coalizione. Ma una coalizione in cui il liberalismo non sia considerato un semplice attributo di altre e perfino opposte realtà politiche e culturali. Se si sceglie la via di liberalizzare, non si può prescindere dai liberali coerenti nel fare programmi e nel gestirli. Non si possono aspettare liberalizzazioni da chi, come la Lega, corteggia e aizza gli umori più illiberali del Paese, o da chi, a destra e a sinistra, declama di essere liberale comportandosi al contrario. E neppure si può essere del tutto rassicurati sulla volontà liberalizzatrice di chi si avvicina ai liberali in Europa, ma si vergogna di dirlo in Italia perché ciò turberebbe gli ulivisti.
Né si può prescindere dai liberali se si vuole battersi per il rilancio del principio dello stato laico, il solo valore che può garantire l’equilibrata convivenza civile per l’oggi e per il domani. Perché la scelta laica al fondo, altro non è che la scelta liberale. La scelta di chi si sforza di affinare di continuo le regole attraverso la discussione di ogni cittadino singolarmente sovrano delle proprie opinioni, con l’obiettivo di far star meglio insieme i cittadini che sono concordi solamente nel vivere la loro differenza, sul come dirimere le controversie e sul come assumere le decisioni in ambito pubblico. Senza che qualcuno pretenda di imporre agli altri il proprio modo di vivere e tantomeno la propria morale. Perché per la democrazia laico liberale il decidere votando non implica l’identificarsi con la comunità e la sua maggioranza rinunciando alla propria identità. Problemi cardine come la scuola, la ricerca, la bioetica, le garanzie dei diritti umani, possono essere costruttivamente gestiti solo nel segno della rigorosa separazione laica tra istituzioni civili e istituzioni civili e religiose. Questo per l’Italia, ma il liberalismo resta essenziale anche con l’occhio al mondo globalizzato. Solo navigando nel fiume liberale possono avere sviluppo positivo il pluralismo etnico, culturale e religioso, possono essere colte le grandi opportunità che la globalizzazione offre alla crescita della libertà umana, specie per liberare aree immense dalle catene della povertà, e insieme essere ridotti al minimo i rischi e le minacce che la stessa globalizzazione si trascina dietro.
I liberali intendono misurasi sulle cose da fare, proprio perché la governabilità non nasce dagli schieramenti ma dalla solidità di buoni accordi politico-programmatici. E dunque per preparare questi accordi occorre attenzione anche alla natura dei rapporti con le altre aree politiche, verso le quali non opponiamo la pretesa di superiorità morali, ma siamo fermi nel chiedere il rispetto delle fondate ragioni della effettiva spinta evolutrice che le libertà e le loro regole per secoli hanno dimostrato di possedere. La non miscibilità culturali di noi liberali con i fautori dell’autoritarismo e del totalitarismo – che sono estranei alla democrazia – e con la cultura politica antagonista – che droga il cittadino con l’utopia – è scritta nei rispettivi geni. Ma l’esperienza quotidiana ci dice poi che i liberali non sono confondibili con il centrodestra immerso nel conformismo conservatore e refrattario alla pratica della partecipazione, ma che di fatto non sono confondibili neppure con quella versione ulivista che teorizza l’indifferenza culturale come legame politico o con quella sinistra rimasta ad una visione ingessata della cittadinanza.
La questione davvero decisiva sarebbe riuscire a fare collaborare al medesimo progetto laico gruppi di tradizioni diverse ma affini nei principi di riferimento e nei comportamenti politici. Senza egoismi, senza egemonie e senza confusioni. Noi auspichiamo con forza la convergenza di socialisti democratici, di verdi, di repubblicani, di radicali e in genere di chi si batte, tra i partiti e nell’associazionismo, per il rilancio della cultura critica e riformatrice. Questa convergenza di chi è fisiologicamente più vicino al modo d’essere e alle esigenze della società civile non inquadrata, finalmente potrebbe colmare la vera anomalia della politica italiana rispetto all’occidente. Un’anomalia che forse sussisteva anche prima di avere alla Presidenza del Consiglio un ex comunista che non si è scordato di esserlo stato; ma che , superata l’anomalia della mancata alternanza al governo, è di sicuro restata la anomalia vera e profonda. Appunto lo scarso peso rappresentativo delle forze liberali, laiche e riformiste a livello politico, con conseguenze gravissime su questioni essenziali per la convivenza civile che proprio della cultura critica hanno bisogno per essere adeguatamente affrontate nell’ambito di una società come l’attuale, mobile, individualizzata, al tempo stesso globale e localista. Basti pensare allo Stato di Diritto, che può vivere solo con il quotidiano rinnovarsi di una ragionata adesione civile dei cittadini; basti pensare al senso dello Stato, che si fonda sull’intima accettazione dell’idea che governare è seguire le proprie convinzioni e non i propri interessi; basti pensare alla politica per l’immigrazione che deve essere guidata solo dalla richiesta dell’impegno ad accettare le regole della Società Aperta, senza sconti e senza fobie.
L’obiettivo politico vero è dare a quest’area una forza propria, rovesciando la vecchia concezione politica per cui solo le chiese e le grandi organizzazioni strutturate territorialmente o mediaticamente sono decisive nelle scelte democratiche. Noi invece pensiamo di lavorare per far giungere al potere le diversità, per mostrare le grandi potenzialità sprigionate dai diversi che si collegano per costruire le condizioni di una libera convivenza in una Società Aperta. Che non è un luogo fuori del tempo, ma un modo di rapportarsi tra individui sociali. Del resto la governabilità dei laici è tutt’altra cosa rispetto alla stabilità rigida e all’ordine immutabile.
Certo questo obbiettivo non è cosa facile. Non lo è di per sé, non lo è perché tra gli esponenti della cultura critica è pur sempre forte la propensione antica a salvare innanzitutto sé stessi. Tuttavia la situazione generale è oggi più favorevole perché la complessità dei problemi reali fa emergere sempre più la necessità di una risposta laico liberale, di una governabilità non invasiva, della capacità di allargare la società degli individui che vivono la diversità senza egoismi. Non per caso in questi giorni si è verificata una incoraggiante numerosa convergenza sulle posizioni del Ministro Professor Veronesi, espressione di una pacata laicità che non si piega al conformismo dei succubi al clericalismo.
Occorre insistere in questa direzione. Per far crescere l’attitudine a rivitalizzare il filone laico liberale in quanto tale e non cadere nell’illusione di poter inseminare di cultura laica le grandi chiese alla cultura laica ostili. Un’illusione che ha un prezzo preciso. Qualche individuo eletto, ove non importa, costa la rinuncia alla capacità rappresentativa dei laici liberali e ritarda il processo delle organiche liberalizzazioni. E’ necessario che i cittadini colgano l’esistenza di una ragionevole alternativa allo stare “o di qua o di là”. Per questo la progettualità dei liberali, dei laici, deve caratterizzarsi e deve essere tanto determinata quanto paziente. Con la frenesia di raggiungere evoluzioni immediate, con la radicalizzazione delle scelte da far compiere, si possono ottenere effetti pirotecnici ma non il superamento di quell’anomalia italiana.
La collaborazione dei portatori della cultura critica e riformatrice è il primo passo necessario. Poi potrebbe essere nei rapporti più ravvicinati con la Margherita, che include petali meno neodemocristiani, la chiave per un’azione di forte riequilibrio dell’intero sistema politico e della coalizione non conservatrice.

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