Sull’art. 29 della Costituzione e separatismo

Scritto per la rivista ArcipelagoMilano

La delibera degli assessori Majorino e Tajani, difesa dal Sindaco Pisapia, di assegnare  aiuti sul fondo anticrisi anche alle coppie di fatto e alle unioni gay, ha innescato polemiche su diversi piani procedurali e concettuali, all’interno della maggioranza e dell’opposizione, fuori e dentro il Consiglio Comunale. Non entro qui sui piani che appartengono alla dialettica politica milanese (del resto le relative polemiche sembrano sopite), però desidero affrontare quello che concerne il problema generale di cittadinanza (sul quale è bene mantenere viva l’attenzione).

Alcuni esponenti cattolici chiusi – chiamo così quelli che non si comportano da cittadini dello Stato italiano, essendo  impegnati a sfruttare il clima concordatario per riservarsi un  ruolo di  mediazione fruttuosa tra lo Stato  e una confessione religiosa – hanno accusato il Sindaco di “ribaltare le fonti del diritto, anteponendo una legge di regolazione amministrativa addirittura alla  Costituzione. Che all’art. 29 è inequivocabile nel riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. E’ un’accusa che in sé sarebbe molto grave, se non fosse che è del tutto infondata. Infatti, come testo e come logica,  il primo comma dell’art. 29 della Costituzione non vieta per nulla atti come quello della Giunta Pisapia che stabilisce criteri di accesso al fondo anticrisi (per il quale gli stessi cattolici chiusi citano impropriamente don Milani, noto scrittore di fede, dato che la delibera dispone di uguali aiuti a cittadini in uguali situazioni di disagio materiale, a meno i cattolici chiusi non sostengano che conviventi e gay sono differenti perché non mangiano). Il testo dell’art. 29  è “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Basta leggerlo per constatare che  riguarda solo l’obbligo di tutelare i diritti del tipo di famiglia fondata sul matrimonio e non esclude affatto la possibile esistenza di altri tipi di famiglia cui attribuire diritti dello stesso o di altro genere.

Peraltro quella accusa a Pisapia non ha carattere amministrativo. E’ avanzata in un’ottica  molto più ampia  di una circoscritta polemica locale. E’ il solito tentativo dei cattolici chiusi di utilizzare la Costituzione per porre limiti al riconoscimento giuridico delle famiglie non tradizionali o non fondate sul matrimonio (riconoscimento avvenuto in quasi tutti gli altri paesi dell’Europa Occidentale). E si inserisce nel tentativo di evitare che cresca la spinta istituzionale per la separazione tra Stato e religioni. Perché la realtà è che i rapporti affettivi possono assumere  diverse forme e i cattolici chiusi non si rassegnano alla realtà. Quindi  vorrebbero imporre anche alle istituzioni di non tenerne conto mantenendole lontane da atti separatisti che ne tengono conto, perché il separatismo è anche senso della realtà

Ormai da tempo l’Italia attende una codificazione legislativa aperta e liberale (la normalità in uno Stato separatista) del variegato rapporto affettivo tra due cittadini conviventi, e quindi rispettosa delle libere determinazioni individuali. La polemica sulla delibera della Giunta Pisapia è sollevata da chi si ingegna per non far passare questa concezione e far restare il paese ancorato alle tradizioni del passato. Al di là delle strumentalizzazioni fatte in questo caso da molti esponenti di contrapposti partiti, il mondo conservatore, di destra e di sinistra, non è disposto ad ammettere che le forme affettive includano rapporti di vario genere, perché questo significherebbe anteporre l’individuo e la sua sessualità alla famiglia comunitaria. Tale mentalità ristretta nel regolare la convivenza non solo limita in modo dichiarato e diretto la libertà del cittadino ma, nel segno di una sorta di malintesa solidarietà tra comunità religiose, provoca la scarsa capacità di inquadrare i rapporti tra immigrati e cittadini italiani nei diritti civili delineati nell’ordinamento costituzionale. Da una parte si sopportano negli italiani forme di xenofobia e di razzismo, dall’altra si sopportano tra gli immigrati, in nome del multiculturalismo ghettizzante,  violazioni dei diritti individuali.

La separazione tra Stato e religioni è il solo modo per porre coerentemente il cittadino al centro della sovranità civile. Perché evita che qualche concezione comunitaria si sovrapponga legalmente alle scelte di vita di ciascuno, seminando ostacoli all’esercizio della propria sessualità, che non siano quelli dei civili rapporti interpersonali tra adulti consenzienti. Le Istituzioni non devono imporre che la sessualità abbia altre finalità che sé stessa, neppure quella procreativa.

Per tutti questi motivi, la sostanza della delibera sul fondo anticrisi del Comune di Milano e l’essersene assunta la responsabilità politica,  costituiscono un atto significativo che rompe il muro di ipocrita trascuratezza con cui in genere vengono nascoste simili tematiche. Non si dica che non sarebbe questo il momento adatto per affrontarle perché le difficoltà devono spingere  all’essere uniti. E’ appunto in un momento come questo che occorre ritrovare il coraggio di praticare l’unica possibile unità che sia produttiva per la convivenza: quella di consentire a ciascun cittadino di esprimere la propria irriducibile diversità di vivere la propria vita. Senza bisogno di autorizzazione e purché non faccia danno materiale agli altri.

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