Dopo il referendum sulle paritarie a Bologna

Scritto per la rubrica Disputationes sulla rivista NON CREDO n.25

Al referendum consultivo sui fondi del Comune alle scuole paritarie, ha prevalso con il 60% l’invito a non darli più (scelta A). E’ importante, sia per il clima della campagna sia per la materia in sé.

 

La richiesta era partita più di due anni fa dal Comitato Articolo 33 formato da diverse associazioni laiche e, ottenuto con fatica lo scopo, il referendum è stato appoggiato  dalla sinistra sindacale (non dai sindacati più grossi), da SEL, da socialisti, liberali, radicali ed anche da Casa Pound e infine da vari del M5S. Dall’altra parte, tutti gli altri, il Sindaco PD Merola, il PD, il PDL, Scelta Civica, UDC, la Lega, la destra, industriali, l’area delle paritarie (quasi interamente cattolica), pompati pancia a terra da Corriere della Sera, Resto del Carlino, Giornale, Prodi, Epifani, Renzi, il Ministro Carrozza, i deputati locali (PD in testa), noti politologhi di sinistra e non. La tesi della scelta B definiva la scelta A il connubio tra statalismo e retorica dei diritti voluto dall’opposizione di sinistra per lanciare un OPA sul PD e per contrastare gli sforzi del governo Letta. La tesi era ridicola dato che la scelta A era sostenuta anche da laici e liberali che non sono di sinistra e sostengono il governo Letta. In più è stata virulenta l’intolleranza di molti sostenitori di rilievo: la scelta A avrebbe minato la pace cittadina del finanziamento comunale alle paritarie cominciato nei secondi anni ’90 dal sindaco Vitali. Virulenza completata dallo slogan secondo cui scegliere A sarebbe stato togliere i soldi ai bambini per darli all’inefficienza pubblica.

Un simile atteggiamento mostra il tema vero, il tipo di convivenza civile preferita. Scegliere B significava corrodere dall’interno la convivenza pubblica fondata sull’autonomia di ogni cittadino nella propria diversità (tra l’altro senza questi valori, il futuro dei bambini è oscuro). Ed è appunto questo il motivo per cui il successo di Bologna è incoraggiante anche sul piano nazionale: spinge a rafforzare l’impegno (tuttora sminuito dal conformismo anti art.33) per rinnovare la qualità della scuola pubblica, non in senso statalista bensì nella prospettiva di istituzioni davvero funzionanti per attivare la libera convivenza tra cittadini diversi.

Vanno rimosse confusioni consociative su punti essenziali. Partendo dal confermare che il diritto dovere dei genitori di educare (art.30 Costituzione) non è un mondo a sé ma rientra nel sistema educativo articolo 33. Lo Stato funziona tramite  la libertà di scelta del cittadino: da una parte lascia ad ognuno libertà di organizzare l’insegnamento preferito, dall’altra fissa strutture e regole per l’istruzione pubblica garantita a tutti senza preferenze. La libertà di insegnamento di ciascuno  non significa che lo Stato debba farsene carico finanziando preferenze di singoli a scapito della propria funzione di garanzia. Trasformare la libertà di insegnamento in presunto diritto di educare è la pretesa dei  gruppi comunitari di preesistere allo Stato e di esigerne l’intervento per finanziare la loro particolare libertà separata, come privilegio sugli altri.

La scuola parificata non configura la libertà di insegnamento bensì la libertà di impresa che  richiede allo Stato il titolo di parificata in cambio  di adottarne programmi e  didattica. La scuola parificata rientra nel sistema pubblico (infatti, proprio perché essa è costituzionale, non fu ammesso il referendum per cancellare l’inclusione nel sistema pubblico delle paritarie) ma non è identica alla pubblica. Svolge il servizio attuando una propria finalità specifica, che non coincide con quella pubblica. Anche se onlus, ne ricava un’influenza (cioè un utile) e non è corretto costruirsela con il contributo di soldi pubblici.

I fautori della scelta B hanno sempre detto che finanziare le parificate applicherebbe  la sussidiarietà costituzionale. Non è per niente vero. Secondo l’ art.118, comma 4,  le pubbliche istituzioni favoriscono  l’autonoma iniziativa di cittadini. E’ evidente che  il verbo favorire non è sinonimo di erogare moneta  e che  la frase autonoma iniziativa si riferisce ad iniziativa con autonomia finanziaria e decisionale. Le scuole parificate non hanno questa autonomia per definizione e dunque non rientrano nella sussidiarietà, che promuove il libero sviluppo di ogni cittadino nel manifestare la sua autonoma diversità. Sostenere che finanziamento dello Stato sarebbe diverso da oneri dello Stato, è  perfino surreale mentre l’Europa discute la percentuale del deficit italiano. In pratica è un inganno dire che occorrono più soldi alla scuola pubblica e insieme insistere nel finanziare le paritarie.

 

Infine, secondo i fautori della scelta B risparmiare sulle paritarie non darebbe al Comune i soldi per un’analoga offerta quantitativa (a parità, un decimo dei 1.736 assicurati dalle paritarie). Ebbene, a parte che il dato  è contestato, non vedono che in tal caso il reale problema sarebbe il perché della forte differenza. Solo il controllo riporterebbe il costo del servizio pubblico al livello naturale risanato dalle storture. Continuare a tamponare il problema scegliendo  il privilegio per il particolare di alcuni, è un danno ulteriore per il cittadino. Un uso coerente delle risorse delle Istituzioni è un caposaldo della democrazia.

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