Temi dell’attualità politica

Intervista fatta da Vittorio Lussana, Direttore di Periodico Italiano Magazine, nel n.45 della Rivista

Presidente Morelli, abbiamo assistito a degli avvenimenti, in Francia, che ricordano vagamente i moti ottocenteschi di rivolta: può illustrarci quali sono, secondo lei, le cause, ipotetiche o reali, del fallimento europeo?

A parte che io sono restio agli accostamenti storici siccome le condizioni divergono sempre, credo che i gilets jaunes abbiano messo alla ribalta un dato caratteristico di oggi. Anche in Francia – un paese in cui è stato raggiunto un livello di vita di certo non trascurabile se paragonato a quattro o cinque decennni fa – vi sono consistenti gruppi di cittadini che, pur appartenendo ad un livello sociale medio e non trovandosi in stato di povertà vera e propria, protestano da settimane con forza contro un’iniziativa del governo che indebolisce le condizioni economiche personali. La molla che ha fatto scattare la protesta è stata la palese leggerezza con cui è stata presa l’iniziativa fiscale in base a calcoli teorici di chi non ha tenuto conto della realtà della vita nella provincia del paese, tutto preso a vivere nei quartieri bene parigini disattento ai problemi dei cittadini nelle zone rurali legati allo spostarsi. In questa dinamica c’è una evidente analogia con quello che Lei definisce il fallimento europeo (penso non riferendosi solo a Bruxelles ma al complesso dei paesi componenti l’UE) e che magari io definirei altrimenti, tipo notevoli difficoltà, dato che da liberale ritengo le crisi un evento fisiologico e non eccezionale. In ogni modo il problema da affrontare rimane evidente. Ed è il fatto che i gruppi dirigenti dei vari livelli europei hanno perduto il senso della libera democrazia rappresentativa e progressivamente hanno dimenticato troppi tra i cittadini. Hanno dimenticato che raggiunto il benessere nei bisogni materiali essenziali, in ciascuno si innesca il problema della qualità del vivere, con l’aspirazione a migliorare e il timore di regredire. Simili aspetti sono ancor meno riducibili ad un dato unificato, quindi diminuisce la possibilità di stabilire le cose con uno schema, di governare con i modelli del dover essere. Insieme cresce la necessità di ascoltare tutti gli individui cittadini (anche con i numeri molto elevati). Si tratta di cogliere tempestivamente sia le concrete esigenze diffuse sia di affrontare tempestivamente i nodi formatisi, onde provvedere ai cambiamenti per scioglierli. Perché deve essere chiara una cosa di cui le odierne elites paiono non consapevoli. Presto o tardi, cambiare è fisiologico. Fa parte della vita, anche istituzionale. Nella democrazia rappresentativa è irrinunciabile il controllo dei cittadini.

Gilet Gialli in Francia e M5S in Italia: siamo di fronte a una rivolta ‘giacobina’?

A me pare che la rivolta ci sia ma in termini moderni più che giacobini. Nel senso che allora il contesto non era quello di uno Stato democratico mentre oggi lo è e la protesta deriva da una cattiva gestione delle istituzioni democratiche. Quindi oggi la via rivoluzionaria non ha senso. Le elites non hanno più giustificazione politica per governare, di certo da sole senza i cittadini, e i cittadini in protesta devono sforzarsi di proporre una soluzione per i problemi causa della rivolta. Sul punto è impossibile stabliire un parallelo tra gilets jaunes e M5S. Per il semplice motivo che i primi sono fuori delle isitituzioni francesi e i secondi sono di gran lunga il primo partito nel Parlamento italiano e ben solidi al governo.

I gilets jaunes stanno vivendo di rendita sull’incapacità del Presidente Macron di dare risposta alla rivolta che non sia lo strombazzato nuovo dialogo con l’opinione pubblica rivelatosi solo uno spot propagandistico in vita delle europee. Oltre a questo, i gilets jaunes, dopo l’iniziale richiesta di tasse più basse, sanno avanzare solo proposte frammentarie ispirate ad un vetero statalismo emotivo con punte di preoccupante antisemitismo. Ma queste carenze propositive non toccano i motivi alla base della rivolta, che vanno comunque risolti.

Il M5S è una realtà istituzionale da sei anni e da un anno ha una posizione molto rilevante, nonostante gli attacchi del PD e di FI, i due partiti restauratori che non hanno saputo fare altro – appoggiati dalla grande stampa incredula del cambio della guardia – che gridare alla imminente crisi di governo, senza avere né i numeri né il progetto politico per indurla davvero. La forza del M5S è nell’essere riuscito a farsi identificare a livello mediatico come gli indisturbati campioni dei cittadini che aspirano a cambiare il modo di governare. Per questo hanno ottenuto i voti, non per un programma ignoto ai più; e secondo questo indirizzo è stato fatto il Contratto di governo con la Lega. Le debolezze del M5S sono tre. Avere un radicamento fisico nel territorio sommario (causa del ripetuto calo di consensi in sede locale), non avere chiari quali provvedimenti prendere per innovare i meccanismi pubblici (tanto che l’atto di governo migliore è stata la decisione non scontata, dopo il crollo del ponte Morandi, di tenere alla larga la società Autostrade, appunto perché si è trattato di tagliare i rapporti tenebrosi della Amministrazione, cosa che il M5S vuole fare) e avere come unica risorsa culturale assurdità operative per la democrazia rappresentativa (vedi l’obbligo di mandato in Parlamento, che aggraverebbe a dismisura i problemi esistenti) insieme operando tramite la piattaforma Rousseau (che già dal nome è un cascame ideologico e che fa un uso dell’informatica distorto dal punto di vista democratico; si pensi alla scelta di far decidere on line cosa votare sulla richiesta di processo a Salvini invece che dai senatori).

Ma cosa dovrebbero fare i Partiti europeisti, secondo lei, per reagire a tale situazione?

Intanto sovranisti e populisti sono oggi forti in Italia per la annosa incapacità dei governi di considerare i cittadini. Quindi per contrastarli il dibattito va centrato non sullo scandalo per il mutamemnto bensì sul come mettere l’UE in mano ai cittadini europei. L’Europa capace di crescere è stata quella che puntava alla società aperta. Poi, sono apparsi gli equivoci sulla missione perseguita (uno stato unico sopra i cittadini) e sul come perseguirla (il prevalere dei burocrati dediti a stabilire le dimensioni in commercio di zucchine e dei molluschi bivalvi). Cosicché i cittadini, rifiutato lo statalismo dei burocrati, stanno cercando rifugio nel sovranismo. E’ incoerente, ma hanno l’aiuto dalle elites franco tedesche con la recente proposta ad Aquisgrana di Europa a due velocità e di aziende campioni continentali, tesi plausibile solo nella vecchia logica di potere degli Stati. Eppure le elites dominanti e i partiti che intendono l’UE come il solito modello rassicurante, tendono a nascondere i fatti quando la Commissione ricupera il cuore dell’originario spirito dell’Europa e tutela le relazioni tra i cittadini, a cominciare dalla concorrenza.

Non a caso in questi giorni gran parte dei mezzi di comunicazione ha ignorato che la Commissione Europea, su proposta della Commissaria danese, la liberale Verstager, ha vietato la fusione tra i due colossi Siemens, tedesco, e Alstom, francese (società del settore ferroviario, treni altissima velocità e segnali del traffico anche di metropolitane), per il motivo che farla sarebbe stato un colpo mortale alla concorrenza. (il sito del Corriere ha pubblicato un commento di Monti cautamente positivo, però subito reso introvabile). Il mancato apprezzamento di tale NO dell’UE rivela diffusi pressapochismi. Nell’ottica del governo gialloverde, è davvero strano non appoggiare la Commissione quando dimostra quell’indipendenza dagli interessi franco tedeschi di frequente auspicata. Nell’ottica degli oppositori del governo gialloverde, è davvero strano non scandalizzarsi per l’intento di Francia e Germania di por presto mano ad una modifica delle regole europee vigenti in senso più favorevole agli interessi dei rispettivi colossi.

Per mettere l’UE in mano ai cittadini, non si può ricorrere al metodo Calenda, il quale tratta il problema come fosse un film del nonno e riduce tutto a fare una lista unica (in elezioni proporzionali) contro i sovranisti e populisti. Sceneggiate. Occorrono progetti chiari. Il fine è proseguire con l’integrazione degli stati. Ma ciò si fa a passo a passo aumentando il peso degli interessi individuali dei cittadini europei. Da un lato occorre dare più poteri al Parlamento Europeo (quali l’iniziativa per leggi vincolanti), dall’altro occorre estendere la rappresentatività elettiva oltre il Parlamento Europeo. Inoltre esigere più trasparenza in tutte le procedure della Commissione e degli altri organi di vertice così da arginare la pressione delle burocrazie e delle lobbies. L’ obiettivo complessivo più urgente è definire con tempestività una posizione attiva dell’UE sui problemi strutturali incombenti. Che sono all’interno l’ulteriore armonizzazione bancaria e fiscale nonché il completare il pieno governo dei dati degli europei accumulati nella rete internet per applicare lo Stato di diritto anche sul web tagliando i grandi privilegi di commercio e di influenza politico culturale concessi alle multinazionali. E all’esterno un piano dettagliato con lungimirante realismo per agevolare l’integrazione dell’Africa in sé. E’ il rimedio essenziale di fronte ad un’immigrazione disordinata e sproporzionata rispetto alle capacità ricettive fisiche ed umane dei territori europei.

Riguardo alla tragica questione dell’immigrazione, nel nostro Paese e non solo, a suo parere il ‘pugno di ferro’ di Matteo Salvini, in quali acque ci farà navigare?

Non credo corretto proclamare di opporsi ai sovranisti e poi adottare impostazioni sbagliate in quanto irrealistiche, che ai sovranisti forniscono continue occasioni per essere in sintonia con i cittadini e rafforzarsi. In Italia si è andati per anni al di là delle carenze Europee sull’Africa di cui ho appena detto. In Italia, su spinta culturale della sinistra religiosa ed ideologica e degli interessi materiali di strutture sindacali e della Chiesa, si è seguita un’impostazione mondialista. Il che secondo i liberali è molto negativo perché il mondialismo rifiuta l’esperienza degli ultimi secoli. Per i mondialisti, i diritti umani vengono prima della libertà; invece l’esperienza mostra che essi vengono dopo la libertà perché è solo la libertà a renderli praticabili. La libertà non è un diritto di natura come vorrebbero i mondialisti. E’ una costruzione faticosa tra individui reali, che crea meccanismi atti a promuoverla e a conservarla, da manutenere in base ai risultati.

Costruire la libertà richiede l’esistenza di istituzioni territoriali, ove i cittadini possano vivere al meglio e decidere di cambiare in autonomia. Ad oggi, non si è mai giunti alla libertà e poi ai diritti senza cominciare dal processo di maturazione civile in un territorio. I mondialisti sminuiscono il concetto di cittadino in uno stato e profetizzano che ciascuno è cittadino del mondo e deve seguirne i precetti umani. Questa idea non amplia i diritti dandoli a chi non li ha, ma toglie, a chi già li ha, il controllo sui governanti e da più potere alle elites rafforzate dal superamento dello stato.
Il mondialismo divarica la connessione tra il cittadino e lo stato in cui vive e sceglie. In chiave mondialista la libertà non è collegata all’individuo cittadino. Questo è il vero reato. Chi esalta l’esser cittadini del mondo, fa perdere il legame con il territorio di appartenenza e rende impossibile l’esercizio della sovranità civile tra diversi. In sintesi l’accoglienza di massa non può essere a ogni costo: sia per le risorse di sostegno occorrenti al territorio, sia per il tempo di accettazione occorrente ai cittadini.
Perché la prima cosa percepita dai cittadini in materia di migranti, sono le condizioni materiali del territorio italiano investite da un aumento forte (e soprattutto in tempi assai serrati) del numero di immigrati. In un anno, accogliere cento persone non è lo stesso che accoglierne duecentomila (solo i religiosi prescindono dai numeri dei migranti e dalle condizioni dei territori di arrivo). Ondate tanto consistenti di migranti inducono molte preoccupazioni (di certo molto superiori al disporre di mano d’opera a basso costo) e creano gravi problemi sociali. L’immediatezza del problema è andata riducendosi in Italia con gli ultimi due ministri dell’Interno. Da rilevare che il primo, Minniti, attraverso gli accordi con i capi tribù africani, ha ottenuto una riduzione più consistente ma senza far emergere gli aspetti di principio della questione, mentre il secondo, Salvini, ha ottenuto una riduzione quantitativamente inferiore ma, rivolgendosi alla pancia degli italiani, ha fatto emergere con più chiarezza l’aspetto di principio. Insomma l’accoglienza di massa non può essere indiscriminata e dipendere da quanti portano a riva le ong: altrimenti si crea un rigetto dei cittadini. E in una democrazia sono i cittadini ¬– spesso i gruppi dirigenti religiosi ed ideologizzati lo dimenticano – che decidono.
Putroppo ci sono troppi ideologizzati in una funzione pubblica che per struttura non dovrebbe averne. Mi riferisco alla pressoché incredibile richiesta, sullo specifico caso di migranti della nave Diciotti, di processare il ministro e il governo, cosa fino ad oggi mai accaduta nella Repubblica Italiana. Certo la casualità ha inciso tanto in questa vicenda. Perché l’estrazione a sorte prevista per scegliere i tre membri del Tribunale dei Ministri di Catania, questa volta ha selezionato tre membri, tutti appartenenti alla corrente di sinistra della magistratura, dei quali due in ruolo nel settore civile e l’unico appartenente al penale già oggetto di fortissime polemiche quando era al tribunale del Riesame, perché aveva scarcerato due nordafricani traghettatori di oltre 200 migranti clandestini, ritenendoli non scafisti professionisti ma solo traghettatori occasionali. Questi tre giudici hanno inoltrato al Senato, contro la richiesta del Procuratore Capo di Catania, domanda per il processo sul caso Diciotti. Nessuno è in grado oggi , domenica 17 febbraio, di sapere cosa deciderà domani la base grillina. Però mi auguro che voti per negare la richiesta dei giudici catanesi. Altrimenti, vista la posizione già assunta dal PD e da LEU, il Ministro Salvini verrebbe processato, non solo avallando la tesi che le decisioni politiche di un governo sono soggette al giudizio dei magistrati non eletti prima che dei cittadini (un grave attentato alla democrazia liberale), ma anche fornendo allo stesso Salvini un argomento solidissimo per dirsi il difensore dei cittadini dalla casta dei giudici e fare la campagna alle Europee su questo tema raccogliendo una caterva di voti. Complimenti a PD e a LEU che dicono di voler far la guerra alla destra sovranista in nome dei diritti.

Secondo Bruxelles, il nostro Pil è più lento a crescere rispetto a quello di tutti gli altri Paesi dell’Ue, ma il Governo sostiene che è “colpa dei governi precedenti”: secondo lei, siamo di fronte a un semplice rallentamento congiunturale, oppure ci attende un nuovo ciclo di stagnazione?

Che la crescita del PIL italiana sia pià lenta di quella degli altri paesi non è certo una novità da tempo. In Italia il debito pubblico accumulato è altissimo, la burocrazia è onnipresente, minuziosa e molto lenta, le infrastrutture territoriali carenti e fragili, il sistema produttivo italiano è frenato da troppi vincoli, la scuola non prepara all’uso del senso critico per affrontare i problemi e cercare di risolverli. Non sono modi di essere che spuntano negli otto mesi da quando è in carica il governo giallo verde. Dunque al momento le colpe dei governi precedenti sono chiaramente prevalenti. E più tali colpe vengono negate e neppure si cerca di fare ammenda, più si conferma la totale non credibilità di chi governava prima e che ha prodotto i risultati del 4 marzo. Si pensi ai ripetuti interventi dell’ex ministro Padoan secondo il quale tutto stava andando bene oppure alle ultime uscite di Renzi, che del proprio tramonto incolpa gli altri nel PD, dalla Mogherini (da lui imposta alla UE) a Gentiloni (per il patto sull’autonomia regionale) senza neanche di sfuggita riconoscere l’errore di voler togliere il potere ai cittadini mediante la riforma oligarchica della Costituzione tentata in combutta con la Boschi.

Ciò detto, il governo Conte sta provando a fare quello che dice di voler essere, il governo dei cittadini. A parte che tutti i poteri disarcionati ovviamente attaccano a testa bassa, si comprendono le intenzioni delle iniziative che ha preso ma è meno chiara l’efficacia dei mezzi usati. Si può dire che l’intento di fondo è rivolgeresi più direttamente al cittadino ricorrendo meno ad ogni genere di corpo intermedio, che sia la struttura pubblica oppure organizzazioni private di vario genere. Ad esempio, introdurre la quota 100 vorrebbe ampliare i modi di andare in pensione per avvicinarsi alla varialibilità delle scelte individuali. Però è dubbio che ciò possa realizzarsi senza un precedente adeguamento dell’INPS alle nuove attività di controllo richieste. Oppure, il reddito di cittadinanza vorrebbe essere un modo di dare fiato a chi si trova in condizioni economiche disagiate, mettendolo in grado di assumere inziative. Però è dubbio si possa raggiungere questo risultato se l’erogazione viene affidata ad un sistema di chiaro sapore assistenziale.

Una cosa il governo pare riuscito a farla. Il pagamento dello Stato delle fatture dei fornitori sarebbe stato fatto rientrare nei termini. Ed inoltre nelle ultime aste dei titoli di Stato la richiesta è ampia e fa ben sperare per i futuri rinnovi dei titoli in scadenza. Peraltro non si hanno precise indicazioni per poter affermare con sicurezza che l’Italia sia in condizione per evitare un periodo di stagnazione in un quadro internazionale assai complicato e con profonde tensioni. In ogni caso sarebbe bene fossero fatte presto le trasformazioni della struttura pubblica che appaiono evidentemente necessarie. Certo le burocrazie possono giocare sulle liti politiche per sottrarsi ai cambiamenti. Ma se il governo si impegna e i cittadini vigilano, può riuscire.

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