Scritto per il periodico NON CREDO
A fine novembre, un articolo di Lucetta Scaraffia – una convinta praticante cattolica dotata di una lunga carriera accademica e solidi rapporti giornalistici con il Vaticano, la quale collabora con il quotidiano La Stampa, tra gli altri – ha sollevato una forte polemica a proposito della pubblicazione da parte della CEI di una inchiesta svolta sugli abusi sessuali all’interno della Chiesa e chiamata “Proteggere, prevenire, formare”.
L’articolo della Scaraffia denuncia il comportamento elusivo della Chiesa in materia, desumibile già dal titolo dell’inchiesta, che non per caso omette il tema più importante, quello della giustizia. Perché questa inchiesta, non solo si limita all’ultimo biennio (da quando sono stati istituiti centri di ascolto per le vittime), ma prescinde dalle denunce penali pendenti presso i tribunali italiani. Insomma, un’inchiesta modellata su una concezione domestica del come affrontare gli abusi sessuali all’interno della Chiesa, ma che, per di più, affrontandoli lo fa in meri termini di formazione. Il che significa limitarsi solo a formare prelati più rispettosi delle indicazioni religiose, e non curare l’aspetto cardine del punire i colpevoli e di rendere giustizia alle vittime, i minori, i giovani e le donne abusati. Riflette sul futuro per nascondere e non decidere su quanto avvenuto finora (il che non rende credibile la riflessione) .
La critica della Scaraffia è amplificata dagli eventi nella Chiesa francese scoppiati nel medesimo periodo. La Conferenza dei Vescovi (dopo aver reso pubblico un rapporto sugli abusi verificatisi nell’ultimo mezzo secolo nonché dopo aver definito il fenomeno “massiccio e sistemico”) ha reso noto che per abusi sessuali su minori sono ora in corso inchieste su undici Vescovi. Ad esempio, un cardinale, più volte presidente della stessa Conferenza, ha confessato di avere avuto, da prete oltre trentanni or sono, comportamenti riprovevoli con una ragazza di 14 anni; e ha precisato di “mettermi a disposizione della giustizia sia a livello sociale che della Chiesa” e di “prendersi un tempo di ritiro e di preghiera”. La Conferenza dei Vescovi francesi ha poi costituito un Consiglio di Sorveglianza per seguire di continuo il problema e poter “affrontare queste situazioni non più da soli e tra di noi”.
Non basta. Sempre nello stesso periodo, il Papa emerito Ratzinger ha confermato che intende difendersi nel processo civile in Germania dall’accusa di responsabilità oggettiva per quando era arcivescovo di Monaco, non avendo agito contro un prete pedofilo inviato nella città per curarsi con una psicoterapia apposita (di cui è provato Ratzinger non conoscesse il motivo). Peraltro reazione comprensibile dato che per primo il Papa Emerito denunciò “la sporcizia nella Chiesa” e adottò la tolleranza zero contro la pedofilia ecclesiastica.
E non è finita. In Portogallo sono stati segnalati varie centinaia di casi, dei quali 17 di sacerdoti in attività. Tra questi, un premio Nobel per la Pace alle soglie del 2000, accusato di violenze su minori per un ventennio. A questo vescovo “sono state imposte restrizioni disciplinari nei suoi spostamenti e nell’esercizio del ministero, e in particolare il divieto di contatto volontario con minori”. Senza qui parlare delle reiterate procedure giudiziarie negli USA contro prelati, anche di livello cardinalizio.
In materia di abusi ecclesiastici non circoscritta all’Italia, il diverso approccio seguito nel nostro paese e rilevato nell’articolo della Scaraffia, ha prodotto una disputa con l’Avvenire (il quotidiano dei cattolici italiani fondato da Paolo VI). L’Avvenire ha difeso l’inchiesta CEI ribadendo il valore delle modalità con cui la Chiesa contrasta gli abusi sessuali. La Scaraffia ha ribattuto sottolineando come sia sintomatico che anche l’Avvenire ometta del tutto di trattare l’aspetto decisivo della questione: quello della giustizia spettante alle vittime nei tribunali (le punizioni) e dei risarcimenti da parte dell’organizzazione ecclesiastica (per i danni provocati dai suoi membri).
In più, aggiunge la Scaraffia, l’Avvenire riprende la brutta abitudine delle gerarchie, nel citare, a mò di scusante, gli analoghi abusi commessi in molti settori della società e non altrettanto sanzionati dall’opinione pubblica. Addirittura additando la reazione della Chiesa quale esempio per tutti. Ma , sottolinea la Scaraffia, la Chiesa non è una istituzione qualsiasi, perché vuol rappresentare la testimonianza di Dio sulla terra. Dunque il male dei suoi membri è mille volte più grave, oltretutto se la Chiesa utilizza la propria autorevolezza per mettere a tacere le vittime. Noi credenti, scrive la Scaraffia, “non possiamo non trovare particolarmente scandalosa la sistematica cancellazione delle vittime e la continua virtuale protezione dei colpevoli”. Non è possibile distribuire la compassione fra vittime e colpevoli. ”La prevenzione è vera e efficace solo se prima si agisce con coraggio per appurare la verità e si procede a processare i colpevoli portandoli davanti alla giustizia”.
Una simile posizione assai critica della cattolica Scaraffia sul modo di essere della Chiesa, fornisce indubbia materia di riflessione ai laici. Soprattutto sul punto essenziale , se essa possa indicare la via giusta per superare il clericalesimo della gerarchia. Ebbene, proprio tale riflessione permette di non confondere il rispetto umano (anche sotto il profilo religioso) per il lacerante rifiuto da parte di una credente della pratica della Chiesa italiana chiaramente non conforme ai fondamenti del credo cattolico, con il poter pensare che l’andare oltre tale pratica basti a risolvere la natura arcaica dell’impostazione della stessa Chiesa circa il rispetto delle norme penali pubbliche.
Il passo avanti compiuto a metà ‘800 dallo Stato liberale introducendo il separatismo Stato Chiesa (sgambettato nel 1929 dallo Stato fascista e rabberciato nel 1984 dal nuovo Concordato della Repubblica) non è in alcun modo riproducibile limitandosi ad atti di natura religiosa. Perché la religione cattolica si affida al volere del Dio e dei suoi rappresentanti in Terra, mentre le istituzioni civili si fondano sulle scelte compiute dai cittadini individui conviventi.
Di conseguenza, chiedere che la Chiesa italiana si allinei alle Chiese in giro per il mondo nel non nascondere gli abusi sessuali compiuti al suo interno e nel non soffocarne gli scandali conseguenti, è cosa che il mondo laico apprezza, ma che non tocca, anzi neppure sfiora, il punto centrale. Cioè che l’Istituzione vaticana ha solo il carattere di centro di fede ed è per natura inadeguata a svolgere compiti di rappresentanza e di gestione della convivenza civile.
Il richiamo di Lucetta Scaraffia alla coerenza con il messaggio religioso ha un significato di rilievo esclusivamente dal punto di vista cattolico e perciò riguarda solo quei credenti. Al più il significato può essere cogente in relazione alla cittadinanza dello Stato del Vaticano, argomento non trattato qui perché questa cittadinanza è del tutto particolare, non tanto per i numeri ridottissimi (meno di mille persone) ma soprattutto perché non è ottenibile né per diritto di sangue né per diritto di territorio , potendo essere solo concessa dal Pontefice secondo l’apposita legge CXXXI del 2011. Salvo che per i cittadini vaticani, il richiamo della Scaraffia non è perciò cogente. E’ un’esigenza morale di coerenza religiosa non incisiva sui rapporti pubblici.
Resta intatto, per la Repubblica, il problema del contenere la propensione ecclesiastica a coprire imbarazzi o soffocare scandali specie in tema di abusi sessuali a danno di cittadini italiani. E quindi riemerge la necessità dell’applicazione senza timidezza del principio di separazione Stato Chiesa, riconoscendo che solo lo Stato è in grado di perseguire l’azione penale in tutte le sue fasi. E sul punto i cittadini italiani di religione cattolica devono schierarsi senza incertezze.
Del resto, la stessa Scaraffia conclude con una nota illuminante: “noi cattolici italiani siamo evidentemente cattolici cinici. Per noi evidentemente la chiesa non è un luogo dello spirito ma una semplice istituzione di potere a cui è più prudente non contrapporsi”. Una consapevolezza simile dovrebbe servire ai cittadini di confessione cattolica per adottare in ambito della convivenza l’impostazione separatista di tipo laico e per impegnarsi a far riconoscere che il potere, in Italia, lo detiene esclusivamente l’istituzione repubblicana. E’ illusorio chiedere giustizia in nome del cittadino nei tribunali vaticani.