Nelle sale del Teatro Goldoni di Livorno, uno dei luoghi della storia del socialismo, si è tenuto venerdì 28 ottobre 2022 il convegno nazionale sul 150° anniversario della nascita di Giuseppe Emanuele Modigliani. Un Convegno organizzato dall’omonimo circolo livornese (insieme alla Fondazione Vera e GE Modigliani di Roma e al Circolo Einaudi di Livorno), con il finanziamento della Fondazione Livornese Arte Cultura e del Comune di Livorno, e con il patrocinio della Fondazione Matteotti, della Regione Toscana, del Circolo Fratelli Rosselli, dell’ Unione Comunità Israelitiche Italiane. Un Convegno di un intero giorno, cui hanno preso parte in sala circa centocinquanta persone, con un significato politico culturale di rilievo, espresso in pieno nel titolo: “Il senso della storia : il lungo viaggio per la costruzione del futuro”.
Un titolo non ideologico che corrisponde del tutto alla principale caratteristica politica della persona. Giuseppe E. Modigliani (detto Mené), pur essendo appartenuto al ceppo socialista fin dal 1894 (consigliere comunale PSI a Livorno), non lo è mai stato in senso ideologico. A livello nazionale e internazionale. E’ stato un esplicito precursore del socialismo imperniato sulla questione centrale del rendere possibile l’applicare la libertà del cittadino nella convivenza civile. Sulla sostanza di questo concetto si sono dipanati gli interventi del Convegno. Hanno illustrato a più voci i vari aspetti con cui Modigliani ha dato coerentemente corpo ad una presenza politica insieme tradizionale e assai innovativa. Una presenza non a caso in piena assonanza sia con il clima maturato via via nella Comunità israelita sia con l’attiva e continua collaborazione della moglie, Vera Funaro, la prima donna iscritta in Italia all’Ordine degli Avvocati.
Questa assonanza è stata trattata in specie su tre punti. Il Prof. Emerito Bruno Di Porto ha delineato gli Ebrei di Livorno nel contesto storico dalla nascita della città all’Unità d’Italia. La Presidente della Fondazione Modigliani di Roma, Anna Foa, ha parlato delle Donne Ebree tra ‘800 e ‘900. Il curatore editoriale Paolo Fornaciari ha descritto il nesso della famiglia Modigliani con il bagitto, l’idioma italo ebraico molto diffuso a Livorno. Questa assonanza ha messo in luce come gli ebrei abbiano sempre avuto forti legami all’andamento reale del mondo. Erano dediti al gran commercio per tutto il Mediterraneo oltre che locale, e svolgevano come attività di rilievo l’assicurazione per il riscatto degli schiavi corrilegionari del vicino carcere dei forzati, presi prigionieri dall’Ordine religioso di Santo Stefano. Quegli ebrei ai quali Pietro Leopoldo di Lorena nel 1782 estese l’editto di tolleranza (da poco attribuito ai cristiani non cattolici) e poi divenuti, nello Statuto emanato da Leopoldo II a febbraio 1848, cittadini di pieno diritto. Lo stretto rapporto di GE Modigliani con il mondo ebraico – tra l’altro sempre rivendicato, anche quando sottoposto alle persecuzioni fasciste – fornisce un’indicazione significativa della radice culturale della sua attenzione al problema della libertà civile del cittadino, che alla sua epoca non era molto presente nell’ideologia socialista. Interessarsi prima di tutto alla libertà civile era per GE Modigliani anche un modo di corrispondere alle sue radicate convinzioni in campo religioso.
L’altro aspetto significativo dell’azione politica di GE Modigliani fu l’agire sempre contro le tesi del socialismo massimalista, che in maniere variegate furono maggioritarie nel PSI lungo due terzi del ‘900. Anche questo aspetto è stato apertamente trattato nel Convegno nel grosso degli interventi, che si sono alternati sotto la guida dotta, felpata e consapevole del ruolo politico di Mené, affidata al Presidente del Circolo Modigliani di Livorno, il prof. Maurizio Vernassa.
Ha iniziato il Presidente del Rosselli, Valdo Spini, parlando significativamente della “riscoperta” di Giuseppe Emanuele Modigliani. Un simile termine, riscoperta, è infatti il tributo che un politico espertissimo di vicende socialiste (per retaggio familiare e per diretta esperienza personale al vertice) ha ritenuto di dover dare ad un Modigliani, il quale durante la sua vita politica ha sempre combattuto ai massimi livelli a viso aperto e con gran coerenza, ma che, nell’immaginario del partito, alla sua epoca e per non poco tempo dopo, non è mai stato ritenuto rappresentare davvero il PSI. Ebbene, gli eventi storici hanno provato che il giudizio di Mené era corretto.
Il fatto è che la tradizione del PSI è stata fin dalle origini assai marcata dal pregiudizio che la lotta a favore dei lavoratori fosse innanzitutto lotta ai padroni. Mentre Modigliani, fin dai primi ‘900, ammoniva i lavoratori che la lotta per i diritti del lavoro non può mai separarsi dalla lotta per i diritti di libertà dei cittadini diversi nei loro interessi e nelle loro concezioni politiche, che si confrontano nel fisiologico conflitto democratico al fine di rendere la convivenza migliore nel segno del reciproco pacifico rispetto. Perché della convivenza sono parte essenziale anche i padroni e perciò i lavoratori con il loro impegno non possono non tener conto anche delle loro esigenze, seppure nel complesso non condivise.
Peraltro è illuminante, come ha ricordato Alberto Aghemo, Presidente della Fondazione Matteotti, che la linea espressa (tra i riformisti soprattutto da Modigliani, che ne era il numero tre, dopo i più anziani Turati e Treves) venne definita “collaborazionista con la montante marea fascista” dalla maggioranza PSI i primi di ottobre del 1922 solo perché prefigurava la collaborazione ampia dei democratici, dai liberali ai socialisti (che era una linea convergente con quella del possibilismo giolittiano verso i socialisti, non frenati dalla questione istituzionale monarchica che inibiva rapporti costruttivi con i repubblicani) . La prospettiva della collaborazione ampia tra i democratici bastò alla maggioranza massimalista per espellere i riformisti (che costituirono il PSU) non rendendosi conto del grosso regalo così fatto proprio alla montante marea fascista. L’inclinazione a subire il fascino del marxismo restò salda nel PSI. Anche quando otto anni dopo, in esilio a Parigi, PSI e PSU si riunificarono nel segno dell’opporsi a Mussolini, la maggioranza PSI continuò ad essere attratta dal sole comunista e ben presto (1934) impose il patto di unità d’azione con il PCd’I, ovviamente con la pervicace contrarietà di Modigliani.
Tutto ciò non deve indurre a pensare che, nel distinguersi dalla maggioranza PSI, Modigliani fosse mosso da un pregiudizio ideologico contro la lotta di classe. La questione essenziale stava nell’attenzione al tema della libertà, che lui poneva da socialista. Tema al quale si riferisce un aneddoto altamente significativo (reso noto negli ambienti socialisti livornesi da un caro amico di Mené partecipe dei suoi incontri alla Conferenza di Zimmerwald del 1915, come uno dei cinque rappresentanti del Partito): il reciproco giudizio negativo tra Modigliani e Lenin. Quello di Lenin, come risulta dai documenti, si tradusse in una indicazione di eliminazione fisica del riformista livornese (nella fattispecie contrario a trasformare la guerra imperialista in una guerra civile). Quello di Modigliani venne formulato con il vaticinio che il leninismo non avrebbe costruito niente, valutazione che, riferita al parametro istituzioni libere, si rivelerà premonitrice (il leninismo è stato una teoria di conquista del potere, che neppure affronta il gestire la libertà nella convivenza tra diversi).
Al Convegno, puntualmente Paolo Bagnoli ha ricordato che GE Modigliani non condivise la tesi della guerra democratica formulata da Nenni e Saragat per solidarizzare con le potenze alleate, ma neppure aderì alla tesi del trasformare la guerra in guerra civile. GE Modigliani sostenne che fare la guerra equivaleva ad uno scontro tra imperialismi a danno dei popoli e che il nodo stava negli scambi frutto dei confronti all’insegna della libertà, ovunque, a livello internazionale e nazionale. Essenziali erano gli scambi di idee e non la violenza impositiva. Qui si radica il riformismo socialista di Modigliani, che lo rendeva fin da allora consonante con i giolittiani. Ad esempio con il famoso discorso del 1919 in cui Giolitti illustrò in termini duri il costo della guerra e le conseguenze, arrivando a porre il problema della riforma dello Statuto : “se i figlidel popolo devono essere mandati a morire, ci vuole un parlamento eletto dal popolo che lo decida”. Od anche come il ministro giolittiano Soleri, redattore del documento per gli interventi restrittivi contro la marcia su Roma, che il Re si rifiutò di emanare, nel solco della sua politica antiparlamentare.
Il riformismo coerente e lungimirante di GE Modigliani non si limitava alle valutazioni di principio. Si attuava anche tenendo un altro comportamento negli anni in cui gli oppositori erano ricercati dalla polizia in Italia e in Francia, talmente non usato da far disperare i compagni socialisti. Bagnoli ha descritto a fondo il mancato esilio americano di Modigliani. La ragione era che lui, ormai decano dei socialisti in esilio, voleva comportarsi restando vicino ai cittadini, lavoratori e non solo, che non potevano allontanarsi e assisterli giorno per giorno utilizzando la generosità dei compagni americani. Anche un simile comportamento corrispondeva non al profilo del rivoluzionario di professione che pensa prima di tutto alla propria incolumità quale garanzia del perdurare dell’azione rivoluzionaria, bensì corrispondeva al compenetrarsi del riformista con i cittadini qualunque da assistere quanto più possibile a mò di protezione civile della rispettiva individualità.
Dunque quello di GE Modigliani era un riformismo socialista compiuto. Nel PSI aveva un prestigio elevato ma un peso scarsamente rilevante nelle decisioni, quasi fosse una manifestazione proveniente da un estraneo. Il riformismo di Modigliani non veniva mai recepito quando era necessario farlo. Sopra ho citato il patto di unità d’azione PSI PCd’I del ’34. Ebbene, la solita storia si ripetè quando nel ’38 il trattato Molotov Ribbentrop portò alle dimissioni da segretario di Nenni che quel Patto aveva voluto. Allora Modigliani fu inserito nel triumvirato alla guida del PSI in esilio , ma, quando si tornò allo scontro Germania Russia e dopo alla Resistenza e al CLN, nel PSI ricominciò a maturare la passione per le posizioni di sostegno all’utopia sociale nel segno dell’adesione emotiva alla liberazione, e divenne scarsa l’attenzione del PSI al riformismo. La crescita impetuosa del numero degli iscritti , portò il PSI ad essere il primo partito della sinistra all’Assemblea Costituente e il PSI ricadde nell’illusione della politica unitaria con i comunisti quale garanzia del destino certo della vittoria proletaria. Così i riformisti, tutti i riformisti anche se erano la minoranza del PSI , promossero la scissione di Palazzo Barberini – ricordata da Luca Bellardini nella sua relazione sulla vicenda politica degli ultimi 15 anni di vita di Modigliani – di cui Modigliani fu il Presidente e Saragat il Segretario. Un’ulteriore conferma del dato storico che il Psi non è stato mai diretto tempestivamente dal riformismo nella libertà. Perché, anche volendo distinguersi dal totalitarismo, non è stato in grado di applicare immediate scelte di libertà attuative dell’evoluzione democratica.
Nella relazione finale del Convegno del 28 ottobre, il prof. Zeffiro Ciuffoletti è stato incisivo nel sottolineare che Modigliani ha anticipato la necessità di capire che il nuovo è ineluttabile, che la borghesia è un corpo complesso da coinvolgere, che i diritti non cadono dal cielo e che occorre lottare per ottenerli nel rispetto delle diversità tra i cittadini, che le riforme non hanno una meta ma puntano ad evolvere e a sperimentare, rifuggendo le ideologie.
Giuseppe Emanuele Modigliani ha visto con chiarezza che la difesa dei lavoratori deve essere necessariamente connessa alla libertà dei cittadini, alla loro diversità individuale. Ed in più aveva antevisto di continuo la costruzione degli Stati Uniti dell’Europa. Tutto ciò costituisce il segno indelebile di riferimento democratico.
Ha un valore emblematico la circostanza citata al Convegno dal moderatore Vernassa. A Livorno, la prima celebrazione di Modigliani svolta con spessore avvenne venti anni dopo la morte, nel 1967, quando Nenni, allora vice presidente del Consiglio, lo ricordò all’Odeon. Ebbene concluse esaltando, parole testuali, la limpida onestà di Mene. Ora, la lunga battaglia politica alla luce del sole ed espressa con chiarezza, non esprime un’attitudine onesta, che è una valutazione in chiave morale mancante di giudizio politico. Il fatto è che perfino Nenni, uno dei più grandi oratori del secolo e suo compagno di tantissime battaglie, non riusciva a cogliere il significato profondo del ritmo del riformismo socialista attento alla libertà individuale espresso da Modigliani.
Il messaggio della sua esperienza di vita resta evidente. Socialisti alla Modigliani e liberali coerenti sono geneticamente diversi sotto il profilo politico culturale. Ma questo non equivale mai, specie in Italia, ad una contrapposizione ideologica che prescinda dallo sperimentare i fatti, cioè dal cosa sia la realtà delle norme vigenti e dei rapporti economici in essere. Allora, i socialisti alla Modigliani e i liberali coerenti debbono praticare una collaborazione politica fondata sull’aderire ai fatti reali e sul fondare le istituzioni non sulle fedi bensì sulla separazione Stato religioni che favorisce regole di continuo adeguate. Il comune obiettivo è sciogliere i nodi dei circuiti sociali per garantire che si possa sempre manifestare liberamente la sovranità del cittadino nell’ambito del conflitto democratico.