Ernesto Galli della Loggia è un editorialista di vaglio, persona colta , ferrato cultore degli studi storici, partito dalla sinistra studentesca, approdato, dai tardi anni ’80, su posizioni attente ai ritmi del convivere aperto. Da quell’epoca, tuttavia, le sue riflessioni , spesso acute, non sono mai riuscite, ad avvicinarsi al metodo liberale quando tratta di prospettive future. Il suo articolo sul Corriere di sabato 1 marzo ne è una riprova lampante.
Galli della Loggia è molto preoccupato per la politica USA nell’epoca Trump e lo motiva tirando in ballo il liberalismo. Scrive che Trump usa “parole di minacce, di prepotenza, di disprezzo” con il programma di “una democrazia senza liberalismo e dunque senza élite”. Parole finali che sono un grave errore in termini liberali, dato che il liberalismo punta a far maturare ogni cittadino e non si affida mai a nessuna élite. Errore confermato ed aggravato dalla spiegazione che vien dopo.
Galli della Loggia afferma che “tra il suffragio universale e i diritti inviolabili di libertà individuale c’è stato un felice incontro storico, ma non c’è alcun nesso necessario”. Una affermazione simile è un infortunio concettuale nel campo del pensiero liberale. Perché il pensiero liberale si fonda sulla diversità ma non esclude il convivere di tutti, anzi lo considera un presupposto di libertà. Quindi la libertà individuale richiede necessariamente che tutti abbiano il diritto di votare, che la diversità coinvolga tutti, che la massa viva solo a condizione di non volere imporsi come uguaglianza indistinta.
Vale a dire, il liberalismo sussiste quando l’uguaglianza riguarda solo i diritti nel convivere e non tocca gli individui tutti diversi. Nel complesso, il suffragio universale è una condizione necessaria ma non sufficiente della libertà individuale, e la libertà individuale vuole il suffragio universale senza esaurire in esso il suo modo d’essere.
Non è vero che, come scrive Galli della Loggia, “i diritti individuali hanno un’origine e conservano un carattere, in un certo senso aristocratico”. Almeno, non è ormai vero in un mondo moderno e liberale in termini più consapevoli. Che perciò rifugge da ogni genere di classe, anche quella elevata. O meglio, con maggior esattezza, che rifugge da concezioni e da istituzioni incapaci di adeguarsi al tempo che passa. Perché aristocrazie od élites non costituiscono gruppi sociali adatti ad ogni campo e ad ogni tempo. Non sono loro che fanno contare il merito e lo applicano, sono invece le capacità degli individui che, con modalità differenti nei vari settori e nelle persone, astraggono nuove conoscenze osservando il mondo, sperimentano nuove ipotesi, fanno circolare idee e cose, verificano i risultati delle iniziative innovative. Sotto il profilo liberale, aristocrazie od élites possono sussistere esclusivamente in settori specifici e in periodi temporali circoscritti. Sono invariabilmente soggette al cambiamento con lo scorrere del tempo. Quello che si staglia sempre dominante è l’individuo responsabile attento al mondo concreto, esplorato con iniziative sempre nuove.
Il cuore dell’Occidente è la libertà del cittadino individuo, che trova la sua stabilità nella fisiologia del cambiare secondo le regole. Appartengono ad un passato che non torna, il richiamarsi ad aristocrazie od élites, il dare agli avversari politici l’etichetta di soggetti deplorevoli (come fece Hilary Clinton quando perse con Trump la gara della Casa Bianca), il pensare davvero che le élites e le loro presunte competenze, possano restare non sostituibili anche quando esercitano il governo mantenendosi ben lontane dall’effettivo contatto con i cittadini e dalle indicazioni che essi danno.
Le destre e Trump sono cresciuti parecchio in Occidente non per una svolta in direzione autoritaria che avrebbe interrotto, come sostiene Galli della Loggia, il “contemperare in vari modi diritti ed elezioni, élite e volontà popolare”, quanto perché i cittadini hanno progressivamente respinto il malgoverno di democratici avvinti al potere autoreferenziale nel sogno di essere predestinati.
Negli USA c’è stato il predominio dei gruppi fissati nel privilegiare le minoranze impositive negatrici della diversità, nella storia e nel tempo. Nella UE, c’è stato un progressivo allontanarsi dal contatto con i cittadini e il regresso ad un vecchio tipo di istituzioni dirette da centri di potere, interni ed internazionali. Tale atteggiamento si è irrobustito nel l’ultimo quindicennio, rendendo l’UE disattenta ai. cittadini, propensa ad imporre più che ad ascoltare, crescentemente dipendente dagli aiuti USA e in sostanza succube della Nato.
Per questa via, l’UE ha dimenticato il suo nuovo progetto originario di valori istituzionali imperniati sul libero cittadino e un poco alla volta, non accorgendosene, ha tralasciato i comportamenti occidentali della libertà di scambio sostituendola con l’ossessione Nato di prevalere sulle volontà imperiali putiniane. Così l’UE non si è preoccupata di procedere in settori per lei essenziali, quali la difesa, il fisco, l’economia, ed ha finito per contribuire in Ucraina alle condizioni di una nuova guerra fredda verso l’autocrazia russa.
Tale stato di cose è sorto prima che Trump rientrasse alla Casa Bianca. Dunque la ricostruzione di Galli della Loggia manca di un dato essenziale. E pure il pericolo da lui segnalato – la propensione al dar peso solo al vincere le elezioni – non può rimuovere l’assoluta necessità, in una democrazia liberale, di mantenere il risultato elettorale al primo posto .
Le competenze delle élites di cui parla Galli della Loggia non devono per nessuna ragione prescindere dalle scelte dei cittadini con il voto. L’esperienza storica insegna che i cittadini possono sbagliare in alcuni momenti ma che, nel medio periodo, il ricorso al voto è l’unica effettiva garanzia che indica alla convivenza il cammino più efficace. A differenza del ricorso alle élites e alle competenze, che in realtà, restando immobili, sono un sostanziale ostacolo al fisiologico evolversi del vivere tra diversi nel nome della libertà.